Incontriamo Ernesto Belisario, che su www.chefuturo.it si presenta così:

Avvocato e geek. Grazie alla felice intuizione di uno dei miei Maestri, sono riuscito a fare delle mie due passioni una professione: mi occupo di diritto delle nuove tecnologie e di innovazione nella Pubblica Amministrazione, in particolare dei profili giuridici dell’e-gov e dell’open-gov. Ne parlo nelle aule delle Università e dei Tribunali e ne scrivo sulla carta e, soprattutto, sul Web.

Oggi, le tecnologie informatiche ed internet stanno determinando nella nostra società un profondo cambiamento non soltanto organizzativo, ma anche culturale. L’ict rappresenta ormai il sostrato e lo strumento fondamentale per svolgere la maggior parte delle attività: quanto per lei questo è vero e come si riverbera nella sua attività lavorativa?

È sotto gli occhi di tutti come l’informatica e soprattutto il web abbiano profondamente modificato ogni settore lavorativo pubblico e privato. Per quanto mi riguarda, l’attività professionale dell’avvocato è stata profondamente interessata dai nuovi strumenti, sia con riferimento alle modalità di interazione con i clienti (che ormai cercano in rete notizie sui professionisti a cui rivolgersi e utilizzano le tecnologie per interagire continuamente con gli stessi) sia nello svolgimento vero e proprio dell’attività lavorativa (e non parlo solo dell’imminente avvio del processo telematico, ma penso anche a tutte le riunioni “in presenza” sostituite da skype call o hangouts).

Negli ultimi anni, le Pubbliche Amministrazioni sono state investite da una serie di interventi di riforma che hanno imposto la gestione in senso informatizzato delle attività e della interazione con altre PP.AA. nonchè con il pubblico degli utenti (tra gli altri, D.P.R. 445/00, D.Lgs. 82/05, D.L. 179/2012). In base alla sua esperienza personale e professionale, gli enti pubblici italiani utilizzano la tecnologia quanto e come dovrebbero? Oppure c’è “diffidenza” o, comunque, “difficoltà” verso il mondo del digitale?

La domanda è quasi retorica. Non è necessario essere un addetto ai lavori per constatare come le Pubbliche Amministrazioni utilizzino le tecnologie in modo ancora inadeguato e insufficiente. Sicuramente su questo dato di fatto incidono molti fattori come un quadro normativo troppo complesso (se non, addirittura, contraddittorio), ma anche il mancato investimento in tecnologie e formazione. Ma la prima causa del ritardo italico è indubbiamente rappresentata da quello che io chiamo “beaurocratic divide” vale a dire la resistenza culturala e psicologica nel passaggio dalla carta al digitale.

Quali sono, nella situazione attuale, le principali difficoltà che la P.A. incontra nella gestione IT?

Oltre a quanto già evidenziato, sicuramente uno dei principali ostacoli al pieno decollo dell’uso delle tecnologie è costituito dall’assenza di infrastrutture e standard nazionali: basti pensare, su tutti, all’assenza di un’anagrafe nazionale, di un documento digitale che rappresenti lo strumento attraverso il quale identificare i cittadini per l’erogazione dei servizi online.

Non è possibile pensare, infatti, che ciascun Ente crei (e segua) propri standard autonomi che impediscono di assicurare un’effettiva interoperabilità e una gestione informatica dei procedimenti tra diverse amministrazioni.

Sappiamo che il patrimonio informativo gestito dalle Pubbliche Amministrazioni è enorme. Esso è formato -oltre che dai dati e  documenti che le stesse producono e detengono – da una serie di informazioni non strutturate, di fonte eterogenea (commenti e post dei social network, segnalazioni provenienti da sportelli, comunicazioni via e-mail), di cui le P.A. medesime sono spesso non consapevoli. E’ giusto, secondo lei, parlare in questo senso di “Big Data”?

Sicuramente è corretto parlare di “Big Data” riferito alla Pubblica Amministrazione italiana. Sicuramente le informazioni raccolte e detenute dalle Amministrazioni fanno del settore pubblico uno dei più grandi generatori e collettori di dati. Per sorreggere questa affermazione sono sufficienti alcuni numeri su tutti: il patrimonio informatico della Pubblica Amministrazione insiste su più di 3800 Ced e oltre 58000 server fisici, mentre nella sola Pubblica Amministrazione centrale si contano quasi 1400 basi di dati per un volume complessivo non lontano dai 500 terabyte.

Quanto e come le tecniche di trattamento dei “Big Data”, se applicate ai dati e documenti amministrativi, potrebbero migliorare l’attività delle PP.AA.?

Sicuramente le Amministrazioni potrebbero ricavare dalla raccolta ed analisi dei “Big Data” una serie di rilevanti benefici:

  • accrescere la trasparenza delle organizzazioni;
  • conoscere ed identificare con precisione le esigenze dei cittadini-utenti;
  • la comprensione più approfondita dei bisogni della collettività;
  • miglior supporto ai processi decisionali.

Oggi si parla molto anche di Open Data. Quanto è “open” la P.A. italiana e quanto risponde, in questo senso, ai dettami normativi (ad esempio il C.A.D.)? Si potrebbe fare qualcosa per rendere la sua attività ancora più accessibile ed aperta nei confronti del cittadino?  

A partire dal 2011, la Pubblica Amministrazione italiana ha avviato numerose iniziative nazionali e locali di Open Data, tra cui non mancano progetti di assoluta eccellenza (come il portale dati.gov.it, il progetto Open Coesione e il Contest Apps for Italy).

Tuttavia il nostro Paese difetta ancora di una vera e propria strategia in materia, come dimostra anche la posizione occupata dal Belpaese nella ricerca “Open Data Barometer” (a cui ho preso parte personalmente), in cui l’Italia si posiziona solo al 20° posto. È  auspicabile che l’impegno di Governo e Regioni sul punto aumenti (sia dal punto di vista qualitativo sia da quello quantitativo), anche in seguito alla firma della “Open Data Charter” avvenuta nel mese di giugno 2013 da parte dei paesi del G8: infatti, sulla base di tale documento ogni Paese si è impegnato a raggiungere precisi obiettivi entro il 2015.

Data la sua esperienza nel settore della tecnologia applicata alle PP.AA., quanto secondo lei uno strumento come Semplice può migliorare o rendere più agevole l’attività dell’Amministrazione italiana?    

Sicuramente ogni strumento che si prefigge la finalità di semplificare ed efficientare l’attività della Pubblica Amministrazione è di cruciale importanza nella fase attuale.

È necessaria la presa di coscienza che senza strumenti di questo tipo, non solo sarà impossibile essere effettivamente trasparenti e fornire servizi di qualità all’utenza, ma sarà impraticabile gestire l’attività degli Uffici in modo ordinato ed efficace.

Grazie ad Ernesto per la sua disponibilità, per chi vuole conoscerlo meglio qua il link al suo sito www.ernestobelisario.eu