carlopiana Oggi, le tecnologie informatiche ed internet stanno determinando nella nostra società un profondo cambiamento non soltanto organizzativo, ma anche culturale. L’ict rappresenta ormai il sostrato e lo strumento fondamentale per svolgere la maggior parte delle attività: quanto per lei questo è vero e come si riverbera nella sua attività lavorativa? L’ICT è il mio lavoro. Non solo lavoro con le tecnologie e non saprei farne a meno (la carta nel mio studio è quasi un optional), le tecnologie dell’informazione sono l’oggetto principale del mio lavoro, e lo sono da quasi vent’anni ormai. Negli ultimi anni, le Pubbliche Amministrazioni sono state investite da una serie di interventi di riforma che hanno imposto la gestione in senso informatizzato delle attività e della interazione con altre PP.AA. nonchè con il pubblico degli utenti (tra gli altri, D.P.R. 445/00, D.Lgs. 82/05, D.L. 179/2012). In base alla sua esperienza personale e professionale, gli enti pubblici italiani utilizzano la tecnologia quanto e come dovrebbero? Oppure c’è “diffidenza” o, comunque, “difficoltà” verso il mondo del digitale? Non si può fare di tutta un’erba un fascio. La situazione è comunque non ottimale, se non in poche aree felici. Ho avuto ottime impressioni da realtà locali con le quali ho interagito, anche per questioni professionali. Penso alla Regione Emilia Romagna, al Comune di Bologna, alla Provincia Autonoma di Bolzano. Mentre l’impressione per le amministrazioni centrali è che manchi un vero e proprio quadro d’insieme, una strategia comune. Avendo comunque fatto passi da gigante, il problema è mettere a sistema tutti gli elementi. Quando il CAD parla di “cooperazione applicativa” e di “interoperabilità” non lo fa a caso. Purtroppo chi doveva avere un ruolo centrale, AIPA, CNIPA, DigitPA e ora Agenzia per l’Italia Digitale, è sempre stato costretto a fare le nozze con i fichi secchi, sottodimensionati, male impiegati e con pochi poteri. In Europa il Commissario per l’Agenda Digitale è vicepresidente della Commissione, per dire. Ora speriamo che avendo pure un’Agenda Digitale e avendo risolto l’increscioso impasse all’avvio dell’Agenzia, ci sia una spinta più forte nella digitalizzazione. Quali sono, nella situazione attuale, le principali difficoltà che la P.A. incontra nella gestione IT?  Non posso fare un discorso generale, ma mi pare che molto spesso è l’incertezza normativa a rendere tutto più complesso, così come l’eccessiva burocratizzazione dei processi, spesso fine a se stessa. Facciamo un esempio, quello che conosco meglio e più dall’interno: il processo civile telematico. Il decreto fondamentale è del 2001. Non 2011, proprio 2001. Si partirà in via definitiva a giugno 2014. La normativa e gli strumenti scelti sono inutilmente complessi, si ricerca una robustezza intrinseca del sistema, invece di puntare alla snellezza accompagnate da sanzioni rapide, certe e dissuasiva per chi ne abusa. Faccio un confronto con la Corte di Giustizia dell’Unione Europea. In quattro e quattr’otto hanno lanciato il progetto e-Curia, accesso con email e password, depositi in PDF non firmati, notifiche per email, elenco delle notifiche passate sul sito. Un anno e mezzo, sono operativi. Ho fatto i mio primo deposito iscritto al servizio senza un minuto di corso. C’è qualcosa che non va. La collaborazione poi tra il pubblico e il privato a volte è discutibile, con  posizioni di privilegio e di approfittamento – se non proprio monopoli – e mancanza di trasparenza sulla costruzione dei sistemi. Senza scendere in particolari, ho in mente un caso in cui una PA ha un rapporto con un fornitore in cui non ha un Service Level Agreement né una reportistica sugli incidenti, per cui non sa se gli sviluppi che paga sono correzioni di errori o manutenzione evolutiva di nuove funzioni, non sa se la determinata patch corregge qualcosa, se determina una nuova funzione, modifica un’interfaccia, cambia il livello di interoperabilità con i sistemi esterni. Così come non lo sanno le aziende private che usano tali interfacce. Quando l’ho saputo non volevo crederci, abituato al mondo del software libero e open source, dove questo è l’ABC. Ecco, lo sviluppo dei sistemi nella PA dovrebbe sempre imitare il mondo “open source”, dovrebbe essere una casa di vetro Il tutto poi si intreccia con il riuso, ancora troppo poco (e male) utilizzato. Riuso e software libero / open source debbono essere in cima ai pensieri di tutti. Sappiamo che il patrimonio informativo gestito dalle Pubbliche Amministrazioni è enorme. Esso è formato -oltre che dai dati e  documenti che le stesse producono e detengono – da una serie di informazioni non strutturate, di fonte eterogenea (commenti e post dei social network, segnalazioni provenienti da sportelli, comunicazioni via e-mail), di cui le P.A. medesime sono spesso non consapevoli. E’ giusto, secondo lei, parlare in questo senso di “Big Data”? Se non si parla di Big Data per le pubbliche amministrazioni, per cosa allora? Quanto e come le tecniche di trattamento dei “Big Data”, se applicate ai dati e documenti amministrativi, potrebbero migliorare l’attività delle PP.AA.? Non sono sicuro che Big Data sia la sola chiave, dipende dagli ambiti. Per il futuro, punterei a processi snelli e sburocratizzazione spinta, implementazione di workflow efficaci, adozione fanatica di standard aperti, veramente aperti. L’uso dei Big Data è estremamente importante per un livello diverso, come il monitoraggio delle prestazioni della macchina burocratica e per gli Open Data. Per sapere ex post cosa succede e cosa è successo, cosa non va, cosa va storto e perché. A volte ho la netta e ritengo fondata impressione che per molti flussi e attività pubbliche manchino totalmente le metriche e le modalità di misurazione. Penso ad esempio alla stima del debito di cassa degli enti pubblici e dello Stato verso i fornitori, c’è voluta l’ISTAT per sapere di quanto si trattasse grosso modo. In questo la fatturazione elettronica fortemente voluta da Cairo dovrebbe fornire materiale grezzo sufficiente per non ripetere questo scempio. Oggi si parla molto anche di Open Data. Quanto è “open” la P.A. italiana e quanto risponde, in questo senso, ai dettami normativi (ad esempio il C.A.D.)? Si potrebbe fare qualcosa per rendere la sua attività ancora più accessibile ed aperta nei confronti del cittadino? Purtroppo molta della PA non sa nemmeno cosa voglia dire “Open”. Vedo che a volte ci si lava la coscienza pubblicando un misero PDF con due dati, se non anche un foglio elettronico magari in formato proprietario. Il CAD, con le ultime modifiche, ha fatto un balzo in avanti considerevole nell’affermare il principio “open by default”, come il Decreto Trasparenza nel fissare ambiti obbligatori di pubblicazione di dati, sulla scorta della direttiva PSI. Ma una legge non è sufficiente e anche quelle menzionate non si sono spinte abbastanza avanti. Con il giusto scrupolo di tutelare la privacy, io sono radicalmente favorevole a spingere il più possibile la diffusione dei dati di tutti i tipi, in via il più possibile automatizzata, disintermediata, con metodologie e formati standard. Data la sua esperienza nel settore della tecnologia applicata alle PP.AA., quanto secondo lei uno strumento come Semplice può migliorare o rendere più agevole l’attività dell’Amministrazione italiana?     Gli strumenti per la PA o sono semplici o non sono.   Chi è Carlo Piana - http://www.piana.eu/it/storia